martedì 14 agosto 2012

POMODORI SECCHI IN SALENTO



Quest’estate, qua in Salento sembra essere approdato il mondo intero. Pare che abbiano tutti scoperto quanto questo angolo di Puglia possa offrire in termini di turismo low cost a chi cerca il massimo da una vacanza al mare.

Lu sule, lu mare, lu ientu. Per la maggior parte dei turisti il Salento è questo: mare cristallino, sole, buona cucina e tanto divertimento.

Per chi invece è salentino, questa terra è molto altro e molto più che semplicemente il proprio paese natio. Per chi è nato e vissuto qui, il Salento rappresenta quasi una fede, un modo di pensare, di agire, di muoversi, di credere, di respirare.

Il tacco d’Italia doveva essere una regione distinta dalla Puglia, tant’è vero che nel progetto dell’assemblea costituente nel 1947 era prevista la nascita di ventuno regioni anziché delle venti attuali e la ventunesima doveva essere proprio la regione Salento, che però scomparve dal testo definitivo.



La ragione per la quale si considerò inizialmente di farne una regione a sé stante trae origine da considerazioni oltre che di ordine geografico (geograficamente si identifica infatti esattamente con il tacco dello stivale) anche di ordine storico.

La penisola salentina, abitata anticamente dai messapi e chiamata Messapia (terra fra due mari), ebbe infatti un percorso storico completamente diverso dal resto della Puglia, che la portò a differenziarsi per molteplici aspetti, primo fra tutti e più evidente l’aspetto linguistico.
Il dialetto salentino è infatti del tutto particolare, costituisce una variante della lingua siciliana e non ha niente a che vedere con gli altri dialetti pugliesi dai quali si differenzia sia per il lessico che per la fonetica.
Per non parlare di quelle che sono le differenze architettoniche, gastronomiche, artistiche, culturali e folkloristiche che caratterizzano questa terra.






I salentini sono orgogliosi di questa loro diversità e rimanendo fieramente attaccati alle loro tradizioni cercano di preservare la loro identità da qualsiasi contaminazione senza però rimanere ottusamente ancorati al proprio passato ma volgendo invece uno sguardo fiducioso verso il futuro.

La taranta, il suo morso, la pazzia, la pizzica, ballo sfrenato che esorcizza. Nel ritmo convulso dei tamburelli si rimane ipnotizzati a guardare chi danza e forse qualcosa di questa terra si riesce a comprendere.

Soltanto sotto questo sole era possibile preparare questi pomodori secchi. Saranno consumati durante il prossimo inverno, freddo e ventoso inverno triestino, e forse porteranno un po’ di luce.


Tagliate i pomodori (meglio i san marzano) per la lunghezza. Poneteli sopra una retina e salateli. Metteteli sotto il sole tutto il giorno, per almeno cinque, sei giorni, girandoli ogni tanto.






 Così sono dopo solo un giorno di essiccatura al sole.


E così dopo cinque giorni.


Conservateli in un cartoccio di carta finché non verranno messi in vaso sott’olio (prossimamente vi spiegherò la mia ricetta).

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